lunedì 4 novembre 2013

The Grove

In certe mattine, quando la bruma s’infittisce con le nuvole basse dall’oceano e la punta delle colline diventa rarefatta, ti sembra di scorgere delle ombre con i chaps di pelle nera e gli harness a incorniciargli i pettorali stanchi come certi diamanti di Elisabeth Taylor ai tempi fastosi di Cleopatra. Sono anime dolenti che non prendono il tram e si trascinano da un bar all’altro sotto le bandiere dai sei colori senza più il rosa del sesso e la magia del turchese.

Make love your goal.

Camminare a Castro è come avventurarsi nelle foreste vietnamite, tra le ossa dei Vietcong e il ricordo acre del napalm statunitense che ha bruciato le foglie e i fili d’erba e la pelle e i vestiti della gente. La foresta pluviale è di nuovo fitta, ma non riesce a nascondere il dolore della guerra vinta.
In ogni locale e club e discoteca leggi cartelli che inneggiano al safesex. In certi posti K. è costretto a leggere in inglese cos’è il safesex a voce alta, per essere sicuri che il concetto è chiaro, che se ti scoprono a farti scopare senza rubber sono cazzi, nel senso che ti sbattono fuori. Evidentemente l’eutanasia non è contemplata.

Keep the vampires from the door.

Un pomeriggio K. è da solo. Enrico è andato a farsi bello in palestra o a farsi qualcuno di bello in palestra. 

I walked the avenue till my legs felt like stone 
I heard the voices of friends vanished and gone.

 Ha voglia di piangere, ma non vuole farlo da solo, quindi si mette in cammino verso Compostela lungo Market street giù giù fino al parco del Golden Gate dove le mamme portano i bambini a giocare e gli studenti si baciano sull’erba e qualcuno gioca a golf, ma se ti addentri verso il primo laghetto c’è un posto incantato, una piazzetta circolare che sembra la via di Hollywood dove le star del cinema fanno le impronte sul cemento. Qui non ci sono le tracce delle scarpe o delle mani, ma solo i nomi di gente comune che nulla aveva in comune tranne il virus. I morti sono scritti sul cemento partendo dal centro in una spirale di dolore, dove qualcuno lascia dei fiori, lì, ad appassire. The Grove lo chiamano.
The AIDS Memorial Grove- S. Francisco
E K. arriva in silenzio e in silenzio si siede intorno a quei nomi guardando altre persone che come lui arrivano silenziose e piangono piano, quasi per non disturbare. E K. lascia un fiore bianco che ha appena rubato da un’aiuola e piange anche lui facendo pace con se stesso e perdonandosi per essere stato disattento.
Ich bin gesund

Enricomaria Bertelli, Come il mare in un bicchiere

(“Sto bene”, era la frase che gli ebrei internati erano costretti a scrivere alle famiglie per tranquillizzarle. Avveniva spesso che alla lettera dallo stereotipato contenuto "ich bin gesund" seguiva qualche giorno dopo il telegramma che annunciava la morte. I parenti non sapevano che con 15 righe vergate sulla carta da lettere del campo, sottoposte alle censura delle SS, il prigioniero aveva diritto di dire soltanto notizie positive e non poteva assolutamente scrivere la verità sulle difficili e inumane condizioni in cui si trovava.)

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