lunedì 21 ottobre 2013

La rosa di Damasco

"La madre aveva faticato a crescere i due figli su quell’appartamento ricavato dalle soffitte dell’università dove il padre lavorava come custode. Spesso arrivavano conigli cadaveri, uccisi in nome della scienza dai professori e lei era diventata brava a cucinarli con cannella e chiodi di garofano. Sulla terrazza inondata dal sole e dai geranei rossi come le ferite dei soldati che aveva curato durante i bombardamenti, la madre stendeva i camici della facoltà di chimica e biologia che sventolavano lambendo le tegole sbeccate, vele fluttuanti su di un futuro senza più sirene e corse nei bunker. Aveva le mani spaccate d’inverno dall’acqua e il freddo e la candeggina, ma sempre con lo smalto lucido dello stesso colore vermiglio delle labbra. Amava il rosso, il colore del coraggio e della sfrontatezza, quanto quello del primo ombrello che s’era comprata dopo il matrimonio e che usava la domenica soltanto per andare in chiesa, lì nel paese del marito dal quale s’era trasferita insieme al fratello maggiore e agli altri fratelli e alle altre mogli.

Orsola Maddalena Caccia

Quando apriva quell’ombrello, anche se c’era il sole le sembrava d’essere la Pampanini su di un palcoscenico e le donne del paesino che l’additavano come una puttana, ma lei sorrideva perchè sapeva d’essere bella e che parlassero pure quelle zucche invidiose e chiatte. Nero doveva essere l’ombrello di una signora e invece era rosso il suo come una rosa di Damasco, turgido e aulente sembrava spandere olio profumato tra i solchi di terra appena arati. Non era fatta per il paese quella rosa sfrontata e impudica e una sera che aspettava seduta a tavola che il patriarca fratello si degnasse di raggiungere il desco familiare e i bambini piangevano e le donne restavano in silenzio compite con lo sguardo umile, lei aveva iniziato a mangiare, con la mano che tremava, ma decisa a cibarsi seguendo il suo istinto. Il marito sapeva di non non essere in grado di fermarla e in fondo non lo voleva neppure e il litigio col fratello era stato furibondo, col marito che si frapponeva fra loro e le stoviglie che volavano fracassandosi come gabbiani impazziti nella tormenta. E alla fine avevano fatto le valigie e se n’erano andati a prendere l’autobus per la città che un lavoro l’avrebbero trovato potevano starne certi che di tornare in quel paese non se ne parlava, piuttosto sarebbe morta di fame. E prima di uscire dal cancello imponente della vecchia villa padronale ormai diroccata, la madre si era voltata e aveva spalancato quell’ombrello che tutti vedessero. Poi aveva dato l’enorme valigia al marito, se l’era preso sotto braccio come un figlio già grande e quasi di peso l’aveva accompagnato alla fermata. Non avevano fatto più ritorno."(Enricomaria Bertelli, Una famiglia)


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