venerdì 13 settembre 2013

truth or dare?

Verità o rischio?
Quante delle cose che ascoltiamo sono vere? Intendo autentiche? Cogito ergo sum ha detto qualcuno, cioè prendiamo noi stessi a misura della realtà che vediamo. Mi spiego meglio.
I racconti che le persone ci raccontano sono vere o false o in che misura vere? Quanta invenzione nel resoconto di una storia d'amore? "Bisogna sempre sentire le due  campane". E le immagini che vediamo in tivvù? Gas nervino, jet che si gettano suicidi nei grattacieli, dittatori nazisti che diventano buoni samaritani per poi ritrasformarsi in angeli del male. Guerre di pace e pace di guerre. Se io vi raccontassi che ieri sono stato rapito da due uomini biondi e bellissimi che hanno abusato di me e poi sono riuscito a fuggire o che ho deciso di non fare più l'amore o che non mi drogo più mi credereste? E su che basi?


La fruizione del mondo esterno, esterno a noi, avviene sempre attraverso gli occhi degli altri. Intendo. Se vedessimo un asino volare nel cielo davanti a noi, la prima cosa che faremmo, istintivamente, sarebbe quella di voltarci verso un interlocutore e di chiedergli conferma di quello che abbiamo visto. Ma se siamo rinchiusi dentro una stanza o dentro il nostro corpo come facciamo ad essere sicuri che quello che ci circonda est veritas? Se io potessi scorgere solo un fazzoletto di cielo dalla mia cella e questo cielo fosse inspiegabilmente viola e qualcuno entrando (ma io non posso uscire, eh) mi dicesse che l'inquinamento provoca a qualsiasi ora del giorno delle aurore boreali, dovrei crederci? Il mito della caverna di Platone per intenderci. E se invece fosse una menzogna e semplicemente il vetro azzurrato facesse virare colore alle nuvole, che prove potrei addurre a mia discolpa? Quindi la gente ci mente continuamente, a volte più profondamente, a volte meno, in coscienza o involontariamente e noi facciamo lo stesso con noi stessi, fingiamo di crederci, edulcoriamo la realtà, ci inventiamo l'amore. E poi scopriamo che la gente ci ha mentito, che il nostro compagno c'ha tradito, ci rendiamo conto che non siamo innamorati, che non lo siamo più o non lo siamo  mai stati. L'arcobaleno che sembra talmente reale che lo puoi toccare, quell'arco di pioggia non è un ponte verso una pignatta d'oro: basta una rifrazione di una frazione di secondo e scompare e noi a fissare inebetiti il sereno di nuovo azzurro e a chiederci se effettivamente quei sette colori diafani, ma quasi coriacei siano mai esistiti se non nella nostra mente, cioè nel nostro mondo.
In fondo siamo noi la matrix di noi stessi e forse solo morendo, cioè addormentandoci ci risveglieremo.

domenica 8 settembre 2013

Fijii

Ho sempre pensato che essere liberi dentro la testa significhi essere liberi, che chi viene imprigionato ritrovi la libertà all'interno di se stessi. In inglese è questa la differenza tra freedom e liberty: la seconda ha a che fare con la parte più profonda di noi stessi, col pensiero.
"Cominciò a rendersi conto che lo Stato s’era già impossessato di una parte imprescindibile della sua persona e che mai, neppure a processo concluso, gli sarebbe poi stata restituita: il tempo. E iniziò a pensare, ad addentrarsi nella sua mente, ma era ancora prematuro per convincersi che da quel momento Kairòs aveva spodestato Chronos e che a nulla sarebbe più servito guardare le lancette dell’orologio, immobili come alla stazione ferroviaria di Bologna. Non poteva telefonare, parlare, pisciare, cagare, mangiare, dormire se non chiedendo per favore ai suoi secondini. Come tutti i prigionieri desaparecidos del mondo, nei lager sovietici, nei postriboli thailandesi, nei bordelli messicani, tra i dissidenti dell’Havana o in Tibet, l’unico modo per respirare ancora la libertà è abitare la propria mente senza farsi tentare dalla follia."(Enrico Maria Bertelli, L'appartamento dorato, cap. 5 Acido gammaidrossibutirrico)
Eppure in "Mar adentro" di Amenabar, il paraplegico Ramón Sampedro può volare con la mente sopra alle montagne e ai boschi fino a tuffarsi nel mare, quello stesso mare che gli ha spezzato il collo. Eppure quel mar adentro, quel mare dentro di lui e non più fuori, non gli è sufficiente, non dopo 26 anni prigioniero di quel corpo-scafandro, ma neanche prima era sufficiente. Per lui essere finalmente libero è riappropriarsi del tempo, il suo tempo che ormai è spezzato dal tempo degli altri. Paradossalmente uccidersi è riacquistare la libertà. Libertà di morire è libertà, anche se questo vuol dire far finire il tempo.
Io vivo in uno scafandro ben più ampio di un corpo, più ampio dell'appartamento dorato, ma circoscritto rispetto allo scafandro del mio amante che può andare in luoghi dove io non posso andare, dove conosce persone che io non conoscerò, dove sentirà musica che io non udrò, che vedrà lune che io non vedrò tramontare.
Il mio tempo è scandito da un Tribunale, la mia notte inizia alle dieci di notte e dura fino alle sette.
Quanto sono grandi i nostri scafandri? In un film di qualche anno fa "The Truman show", il protagonista Verouomo si accorge che quello che lui aveva sempre pensato essere una città dentro uno Stato era in verità uno studio televisivo dentro un hangar e che bastava rosicchiare un pezzettino di cielo per andare al di là e che le isole Fijii non erano poi così irraggiungibili, bastava averne il coraggio.
E voi vi libererete mai del vostro scafandro per raggiungere le vostre Isole di Sogno?

membri emeriti